Incompiuti e felici
[Onde #207] Il fascino delle bozze abbandonate contro i traguardi sbandierati
Viviamo circondati da squilli di tromba per ogni traguardo raggiunto, ogni progetto concluso, ogni risultato confezionato a dovere. Se apri LinkedIn poi… questo rumore è assordante. Vien voglia di comprarsi dei bei tappi per le orecchie (o paraocchi visto che ormai consumiamo tutto attraverso la vista). Celebratori compulsivi del "fatto è meglio che perfetto", dimentichiamo quanto possa essere struggente – e straordinariamente umano – ciò che resta a metà.
Immagino che, come me, anche tu avrai bozze abbandonate su un taccuino, idee annotate su un bordo di tovagliolo, racconti lasciati sospesi come fili nell’aria. Non sono fallimenti, né prove di pigrizia. Sono testimonianze di un pensiero ancora vivo, di un’emozione che non si è lasciata incasellare, di una storia che ha preferito restare libera piuttosto che chiudersi in un punto finale forzato.
L'incompiuto custodisce una forma di bellezza che il finito non potrà mai avere: quella dell'attesa, della possibilità, dell'immaginazione. Quando qualcosa è incompleto, non è morto: è aperto. È spazio ancora fertile, è invito a continuare, a sognare.
Anche nella comunicazione, nell'arte di raccontare storie, lasciarsi sfuggire un po' di incompiuto può essere un atto di fiducia nei confronti di chi ascolta o legge. Non serve dire tutto, spiegare ogni dettaglio, guidare per mano fino all’ultima parola. C’è più verità, a volte, nel suggerire piuttosto che nel dichiarare.
Tutto ciò senza dimenticare ovviamente che saper chiudere un progetto – anche piccolo, anche imperfetto – è un allenamento necessario. Finire dà forma alla nostra crescita, ci insegna a procedere senza restare intrappolati nella perfezione. Però, chissà, magari è proprio da quell’appunto lasciato a metà, da quella storia interrotta, che potrà nascere il tuo prossimo contenuto più autentico e potente.
Purché ogni incompiuto non diventi una scusa per non arrivare mai alla riva, ma un insegnamento: che non tutto deve essere chiuso, perfetto, definitivo. Che possiamo lasciare spazio al mistero, all’interpretazione, all’imprevisto. Che c'è bellezza nelle domande rimaste in sospeso, nei viaggi non ancora terminati, nelle storie che continuano a vivere, proprio perché non hanno una fine.
✍🏻 Corrente di parole
[Mostrare, non raccontare]
"Show, don't tell" - mostrare, non raccontare. Forse lo hai sentito così tante volte che ormai ti suona come uno di quei consigli che tutti ripetono ma nessuno spiega davvero. Come quando ti dicono "sii te stess*" prima di un colloquio importante.
Nelle scorse settimane abbiamo parlato di ritmo, dettagli e dialoghi. Oggi esploriamo un principio che li abbraccia tutti: l'arte di mostrare invece di limitarsi a dire.
Quando scriviamo "Marco era arrabbiato", stiamo raccontando. Stiamo etichettando un'emozione, mettendola in una scatola ordinata. Ma cosa succede se invece scriviamo "Marco uscì sbattendo la porta, stringendo le chiavi così forte che le nocche divennero bianche"? Improvvisamente, non stiamo più parlando di rabbia. La stiamo vedendo, sentendo, quasi toccando.
La differenza è semplice: raccontare è informare, mostrare è coinvolgere.
Uno mantiene il lettore a distanza, l'altro lo trascina dentro la scena.
Il trucco pratico
Quando scrivi un testo cerca le emozioni che hai nominato direttamente. Ogni volta che trovi "era felice", "si sentiva triste", "provava ansia", fermati. Chiedi a te stess*: come lo vedrei se lo osservassi? Quali gesti, quali movimenti, quali dettagli fisici rivelerebbero quell'emozione?
Confronta questi due passaggi:
"Laura era nervosa per il colloquio. Si sentiva insicura e temeva di fare brutta figura".
Oppure:
"Laura controllò l'orologio per la terza volta in due minuti. Si passò la lingua sulle labbra secche, aggiustando la piega della gonna mentre la segretaria chiamava il nome prima del suo".
Il secondo ci porta nella stanza con Laura. Non ci dice che è nervosa, ce lo fa vedere, ce lo fa sentire. Questo deve essere il nostro obiettivo quando scriviamo un testo.
Esercizio della settimana
Prendi un paragrafo in cui hai descritto uno stato d'animo.
Riscrivilo completamente eliminando ogni menzione diretta dell'emozione.
Usa solo azioni, dialoghi, dettagli fisici per comunicare ciò che il personaggio prova.
La differenza tra dire e mostrare è la differenza tra leggere il menu e assaggiare il piatto.
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💡I link della settimana
💻 Lavorare - EGC: la voce autentica dei brand. Cosa sono gli Employee Generated Content spiegati da L’Eco della Stampa. Mentre su LinkedIn, Paolina Consiglieri ci racconta perché funzionano così tanto.
📱 Social - Come creare una serie di video di breve durata. Servire, servono. Anche se preferiremmo non doverci pensare. Ma non è detto che dobbiamo snaturarci per realizzarli.
🛠️ Il tool - Streamin.co. Per fortuna non esiste solo il lavoro. Siediti sul divano, cerca i film o le serie che vuoi vedere e questo sito ti dice su quale app di streaming puoi trovarle.
✍🏻 Scrivere - Qual è la lunghezza ideale di una email? Breve o lunga? Sempre considerando che non esistono ricette perfette, in quest’articolo trovi delle tabelle che potrebbero esserti d’aiuto.
📚 Leggere - Visus. Storie del volto dall’antichità al selfie. Dopo Cromorama e Figure, Riccardo Falcinelli ha scritto un altro libro capolavoro. Perché il volto è qualcosa che diamo un po’ per scontato, ma in realtà è un’invenzione storica e culturale davvero interessante da approfondire.
🎧 Ascoltare - L’ultima estate. Podcast letterario molto bello! Si parte da un celebre racconto di Stephen King per ascoltare grandi penne come Carlo Lucarelli, Silvia Avallone e Stefano Nazzi parlarci di scrittura e libri.
🌊 Mare - Nella nuova puntata di
parlo di un paradiso vicino a noi. Un meraviglioso Santuario da conoscere.
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Meraviglioso numero...ci tenevo a farti sapere che ho inserito Onde nelle Raccomandazioni di Uno spazio tra le note...la mia newsletter appena nata...