Le parole che ci portiamo dietro
[Onde #219] Di zaini linguistici da svuotare periodicamente e vocabolari da riempire con cura.

Ogni tanto mi chiedo quante parole porto con me per abitudine, non per scelta. Restano lì nello zaino del linguaggio, anche quando hanno smesso di somigliarmi.
A volte sono parole rumorose: urgente, sempre, innovativo. Altre sono etichette consunte: strategia detta per dare peso, coinvolgimento messo dove serve sostanza, esperienza usata come tappabuchi. Non le ho scelte: mi hanno scelto loro, mentre correvo dietro a quello che sembrava il modo giusto di comunicare. E non è che sono diventate improvvisamente tutte sbagliate. È che non le sento più mie.
È successo anche a te, vero? Ti rileggi dopo un po' di tempo e ti chiedi: "Ma chi ha scritto questa roba?". Non parlo solo dello stile che cambia. Parlo proprio delle parole che teniamo strette come se fossero parte della nostra identità professionale e che un giorno smettiamo di sentire nostre.
C'è qualcosa di profondamente personale nel nostro lessico lavorativo. Le parole che usiamo quando parliamo del nostro lavoro, quando ci presentiamo, quando spieghiamo quello che facciamo. Non sono solo strumenti neutri: sono pezzi della nostra storia.
All'inizio della carriera, soprattutto, le parole le rubiamo. Ascoltiamo colleghi che stimiamo, leggiamo professionisti che vorremmo diventare e pian piano iniziamo a adottare il loro modo di parlare. È normale e giusto: è anche così che si impara. Il problema è quando non ci accorgiamo che continuiamo a usare parole che abbiamo preso in prestito e mai restituito, anche quando non ci rappresentano più.
Costruire un lessico personale non significa però inventarsi parole nuove; significa decidere cosa tenere e cosa lasciare andare. Tenere ciò che apre, lasciare ciò che chiude. Tenere cura, processo, chiarezza. Lasciare si è sempre fatto così. Tenere relazione, lasciare engagement quando diventa un modo elegante per non dire niente.
La verità è che costruire un lessico personale richiede le stesse energie che mettiamo in tutto il resto della nostra comunicazione. Non è solo questione di evitare buzzword o anglicismi a sproposito. È una questione di coerenza con chi siamo diventati e di rispetto per chi ci ascolta.
Penso sia utile, periodicamente, prendersi del tempo per ragionarci su. Per chiedersi: questa parola mi rappresenta ancora? La sto usando perché è davvero la più precisa o perché è quello che "si dice" nel mio settore? Che effetto fa a chi mi ascolta?
Le parole che ci portiamo dietro sono ciò che più ci definisce. Sono la nostra firma, molto più di un attacco accattivante in un reel o di una palette colori ben scelta. Se la nostra comunicazione vuole essere uno spazio di attenzione – non solo di rumore – le parole sono il primo filtro di qualità.
Le scegliamo, ci scelgono. Ogni tanto bisogna solo riallinearsi, perché parlino di chi siamo e non di chi pensiamo di dover sembrare.
✍🏻 Corrente di parole
Piccolo metodo pratico per riorientare il tuo lessico:
Svuota – Apri una nota ed elenca 12 parole che usi spesso quando parli/scrivi del tuo lavoro.
Pesa – Accanto a ciascuna parola, segna se: apre/chiude, è precisa/vaga, è tua/presa in prestito.
Decidi – Scegline 3 da lasciare andare e 3 da promuovere a bussola.
A questo punto mettiti subito al lavoro e scrivi una frase-tipo con le nuove 3.
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