Troppo cerebrale per capire che si può star bene senza complicare il pane
[Onde #222] Mentre noi ci facciamo un sacco di paranoie, dall’altra parte ci sono persone normalissime che vorrebbero solo capire.
Questa settimana ho partecipato a una tavola rotonda molto interessante su come comunicare il vino. Nel settore, le domande che tornano con frequenza sono: come lo facciamo capire senza sembrare elitari o inaccessibili? Come lo comunichiamo alle nuove generazioni?
Il tema è caldo. Mi confronto periodicamente con queste domande in interviste, eventi e forum. E mi affascinano, perché sono applicabili a qualunque ambito della comunicazione professionale. Soprattutto perché nascondono dubbi ed errori comuni. Uno in particolare…
Cerchiamo sempre modi complicati ed effetti speciali per raccontare qualsiasi cosa. Come se la semplicità del linguaggio - inteso nel suo complesso di parole, gesti, atteggiamenti - potesse sminuirne il valore.
Passiamo ore a cercare il modo perfetto di esprimerci. Col risultato che ne soffriamo e spesso non raggiungiamo l’obiettivo che vorremmo. Ci blocchiamo davanti al post da pubblicare perché “non suona abbastanza professionale”. Riscriviamo email dieci volte perché abbiamo paura di sembrare troppo diretti, o troppo informali, o troppo qualsiasi cosa. Come se la naturalezza fosse un difetto da nascondere, non un valore da coltivare.
È proprio qui che si annidano l’ansia da prestazione che ci paralizza davanti a un post, la sindrome dell’impostore che ci fa pensare di non essere abbastanza esperti per parlare a un evento, la paura del giudizio (di chi ci conosce o dei nostri competitor) che ci spinge a complicare tutto pur di sembrare credibili.
🎶 Troppo cerebrale per capire che si può star bene senza complicare il pane 🎵, cantava Samuele Bersani.
E sai qual è il bello? Mentre noi ci facciamo tutte queste paranoie, dall’altra parte ci sono persone normalissime che vorrebbero solo capire. Senza fronzoli, senza giri di parole, senza quella patina di perfezione che sa tanto di finto.
È un po’ come se entrambi - chi comunica e chi riceve - fossimo prigionieri della stessa illusione. Noi pensiamo di dover sembrare esperti, autorevoli, sempre sul pezzo. Loro invece sono semplicemente stufi del plasticoso, del troppo perfetto, del linguaggio che suona più da manuale che da persona.
Ma la comunicazione che funziona - soprattutto nell’era in cui tutti comunicano ovunque - è quella che sa di conversazione, non di comunicato stampa. Quella che ammette dubbi invece di fingersi infallibile e usare tecnicismi a sproposito. Quella che, in sostanza, tratta chi legge come un essere umano, non come un target da conquistare.
E allora perché continuiamo a complicarci la vita? Perché comunicare in modo autentico significa esporsi davvero, senza filtri, senza la protezione del linguaggio tecnico o del tono super professionale. Significa rischiare di sembrare “poco esperti” agli occhi del nostro potenziale pubblico.
Solo che - e questa è la parte liberatoria - chi ci legge o ascolta non sta cercando l’esperto perfetto. Sta cercando qualcuno che sa di cosa parla ma che sa anche parlarne in modo umano. Qualcuno che non ha timore di dire “non lo so” o “ci sto ancora ragionando” e con cui si può avere una conversazione reale.
Perché alla fine, il coraggio vero sta proprio nell’avere la forza di essere naturali, nonostante tutte le paure che ci portiamo dietro (e dentro).
💡 I link della settimana
💻 Lavorare - 5 modi per usare Nano Banana se lavori nel marketing digitale. Il nuovo strumento AI di Google può diventare il tuo miglior alleato per creare varianti di creatività senza dover rifare shooting fotografici. Da cambiare il colore di una maglietta per un test A/B a rimuovere oggetti fastidiosi dalle tue foto prodotto.
📱 Social - Come guadagnare con Instagram trasformando i tuoi follower in clienti. Avere follower non significa avere clienti. Te ne parlo in questo articolo in cui smonto un po’ il mito dei numeri e ti mostro come l’importante sia costruire un sistema vero per portare le persone da Instagram a un canale che controlli davvero (spoiler: la newsletter).
🛠️ Il tool - Cleve. Immagina un’app per appunti dove puoi buttare dentro pensieri sparsi, note vocali prese mentre cammini, foto che ti ispirano, idee alle 3 di notte... e poi l’AI ti aiuta a dare un senso a tutto questo caos. Se la tua testa è un archivio disordinato, questo potrebbe essere il tool che ti serve.
📚 Leggere - Il cervello nell’era digitale. Anders Hansen, psichiatra svedese, ci spiega perché il nostro cervello fatica a gestire notifiche, scroll infiniti e multitasking digitale. Non è il solito libro che ti dice “metti via il telefono”, ma uno che ti fa capire cosa succede nella tua testa quando sei incollat* allo schermo. E soprattutto, ti dà strumenti concreti per riprenderti la concentrazione. Perfetto se ultimamente senti che la tua mente è diventata un frullatore acceso h24.
✍🏻 Scrivere - Prenditi 3 minuti per eliminare queste parole e migliorare la tua scrittura. Utile per riflettere su quelle parole che usi senza pensarci e che, in realtà, danneggiano la tua scrittura. Quel “va bene” che in realtà suona come se non andasse affatto bene, quel “sfortunatamente” che rende tutto più drammatico del necessario, quel “solo” che ti fa sembrare insicuro. Un articolo con diversi esempi pratici.
🎧 Ascoltare - La sindrome di standby. Un podcast di Adele Meccariello che racconta cosa rimane quando il lavoro se ne va. Parte da una lettera di licenziamento e apre una riflessione profonda su identità, valore personale e quella sensazione di essere in standby che probabilmente hai provato anche tu almeno una volta.
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